mercoledì 11 gennaio 2017

Recensione: "Stranger Things"

Nostalgia, nostalgia canaglia cantava la coppia/scoppia Al Bano e Romina Power nei mitici anni '80. Se anche voi siete tra quelli che avete passato un estate intera sulle note di "Should I stay or should I go?” dei Clash, meglio se durante una "pomiciata" sulla spiaggia, stranamente la serie di fantascienza Original Netflix “Stranger Things”, dei multitasking fratelli Duffer, fa per voi. 

Prendendo spunto dalla sigla stile rétro di "Mr.Robot", dalle atmosfere dei film di John Carpenter e dall'idea iniziale del dimenticato film "Super 8" di J.J. Abrams, la serie cita e omaggia il cinema preadolescienziale di avventura che negli anni '80 ha segnato una intera generazione - come il sottoscritto - oggi ormai quarantenni. 

La trama è semplice: è il 1983 e i  protagonisti sono tre bambini che nella cittadina di Hawkins devono fare i conti con la scomparsa in circostanze misteriose del loro compagno di Dungeons&Dragons Will Byers. I tre decidono di mettersi alla ricerca del loro amico, indipendentemente dalla polizia, ma invece di ritrovare Will si imbattono in una bambina misteriosa e silenziosa dal nome - che è tutto un programma - Eleven. Da quel momento in poi accadono una serie di eventi incomprensibili che mettono addirittura a rischio l'intera piccola cittadina dell'Indiana - il caso vuole che si trovi isolata da un bosco e vicino ad un centro di ricerca "misterioso" - tutto sullo sfondo storico della guerra fredda. 

Non si può che apprezzare il rimando a film simbolo di quegli anni come i "Goonies", "E.T. l'extra-terrestre" e "Stand by Me - Ricordo di un'estate". Gli autori Matt e Ross Duffer - che in questa serie se la suonano e se la cantano - in alcuni momenti sembrano vittime della voglia di "citare" anche dal punto di vista narrativo - in aperta rivalità con J.J. Abrams - rischiando, in alcuni momenti, di cadere nella banalità - il rapporto Mike/Eleven sembra la fotocopia di quello E.T./Elliot - ma che fortunatamente riescono ad attenuare, con la creazione di personaggi credibili e di spessore, questa debolezza.


    Ottima la recitazione da parte dei giovani protagonistiFinn Wolfhard (Mike), Millie Bobby Brown (Eleven), Gaten  Matarazzo (Dustin) e Caleb McLaughlin (Lucas). La conferma per un attore culto come Matthew Modine nel ruolo del "cattivo" - ma come insegna il "Games of Thrones" nessuno è mai veramente cattivo - che con la sola presenza riesce a dare credibilità a strane situazioni.  Il cast è completato da una sempre affascinante Winona Ryder (nominata per questo ruolo ai Golden Globe 2016), perfetta per il ruolo della madre disperata - anche se in alcune scene sembra essere stata posseduta dalla protagonista di uno dei film di Gabriele Muccino - e il personaggio dello capo della polizia interpretato da David Harbour oramai bloccato in ruoli di uomini tormentati. 


   La colonna sonora originale, formata principalmente da musica elettronica che apertamente richiama allo stie sperimentale di quegli anni, come d'altronde era stato fatto anche in "Mr.Robot",  mentre l'inserimento di certe canzoni - vedi  la canzone di "Risky Business" - sembra forzato .

Effetti speciali da rivedere e finale ovviamente aperto per una nuova stagione. 


Un dubbio enorme mi assale mentre scrivo queste righe: ma i ventenni a caccia di Pokemon sapranno apprezzare questa serie? 😒

1 commento:

  1. Interessante analisi. Io non sono rimasto cosi entusiasta.

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